La vulvodinia. Linee di indirizzo per la gestione diagnostica e terapeutica
Barbara Dionisi, Filippo Murina, Maria Puliatti
CIC Edizioni Internazionali 2010
“Nonostante sia stata individuata e riconosciuta fin dal secolo scorso, è solo agli inizi degli anni ’70 che la vulvodinia acquisisce le connotazioni e la rilevanza di una vera e propria “sindrome da dolore cronico vulvare”; la sua denominazione, formulata in occasione del Congresso della ISSVD (International Society for the Study of Vulvar Disease) del 1983, trae origine dalla crasi delle due parole greche vulva e odinia (dolore). Fin tanto che l’etiopatogenesi era ipotizzata ma non definita, questa terminologia identificava la Sindrome con il suo Sintomo; adesso che i progressi di fisio-patologia ci permettono una maggiore comprensione in merito, il sintomo dolore continua a trovare il suo riconoscimento, mentre è l’accettazione di questo come Malattia di Per Sé, in quanto sindrome da dolore neuropatico, che è ancora poco conosciuta.
L’assenza di lesioni cliniche obiettivabili, la sintomatologia vulvare caratterizzata da bruciore, fastidio, sensazione di punture, dolore urente e la dispareunia associata, hanno portato per molto tempo ad etichettarla come una problematica di tipo psicosomatico o esclusivamente psicologica.
Questo atteggiamento ha contribuito alla mancata “accoglienza” del sintomo dolore da parte del medico, per disinteresse, non conoscenza o non familiarità nell’affrontare un argomento delicato come la sessualità, perpetuando la tendenza ad una consultazione frenetica di più specialisti da parte delle donne in attesa di una risposta alle loro domande. Il risultato finale è stato un aumento del tempo di latenza tra l’inizio dei sintomi e la diagnosi, stimato inizialmente di 5,6 anni. Fortunatamente la fruibilità e la libertà dell’informazione che oggi offre l’accesso al web, accanto al fiorire di siti informativi dedicati ed all’interesse che alcuni specialisti (ginecologi, dermatologi, psicologi) hanno dimostrato al riguardo, ha determinato una importante riduzione dei tempi, stimata ora in 2,8 anni circa.
La sua patogenesi attualmente è più chiara. La comprensione di alcuni meccanismi infiammatori che si realizzano progressivamente e ripetutamente in sede vestibolare, ha indotto a formulare dei modelli malattia su base neuropatica, che hanno aperto la strada ad approcci terapeutici sempre più mirati ed efficaci. Il meccanismo dell’infiammazione svolge il ruolo cardine nel determinismo della malattia. In alcune donne predisposte, un insulto infettivo reiterato, così come una reazione allergico/atopica, a causa di un deficitario meccanismo contenitivo della reazione infiammatoria, portano al non arginamento di un’iniziale infiammazione acuta vulvo-vestibolare determinata dall’iperattività mastocitaria, con trasformazione in infiammazione cronica aspecifica e ulteriore richiamo di mastociti e liberazione di mediatori responsabili della proliferazione delle fibre nervose del dolore (A delta e C) e della successiva loro superficializzazione mucosa. Il fattore tempo segna poi il passaggio dall’infiammazione cronica aspecifica all’infiammazione neurogena, a cui si somma nella maggior parte dei casi uno “spasmo difensivo” della muscolatura striata del pavimento pelvico per attivazione riflessa delle fibre nervose motorie (riflesso simpatico).
L’impatto che il dolore vulvare ha nella vita delle donne affette è notevole, non solamente sotto l’aspetto sessuale ma anche relazionale. La vulva infatti, costituisce il “vestibolo” da cui si accede alla “porta coitale” e rappresenta nell’immaginifico la “femminilità” per eccellenza. Non a caso il Botticelli ha dipinto la sua “nascita di Venere”, emblema mitologico della donna, incorniciando la dea all’interno di una “valva” di conchiglia. Quindi è la femminilità stessa ad essere messa in discussione da questo tipo di dolore.
La qualità della vita viene compromessa a vari gradi in relazione alle caratteristiche della malattia oltre che alla sua gravità. Nella forma localizzata al vestibolo vaginale, che interessa prevalentemente le donne giovani, è la sfera sessuale a subire le maggiori conseguenze: il dolore di tipo urente viene provocato dal contatto con l’ingresso della vagina, il che si traduce in una dispareunia di vario grado fino ad un cambiamento generale delle abitudini vestiarie per non sopportazione di pantaloni stretti, indumenti sintetici, stare sedute.
Nella forma generalizzata che più spesso colpisce la donna adulta in perimenopausa, il bruciore ed il dolore sono spontanei, sempre presenti, con ripercussione non solamente sulla qualità della vita sessuale, ma anche relazionale, lavorativa ed interpersonale a varie intensità in base al grado di compromissione nella scala del dolore ed al proprio vissuto interpersonale.
La conoscenza della patogenesi della vulvodinia, con i suoi fattori predisponenti e precipitanti, la comprensione dei sintomi iniziali, unitamente con il rispetto dell’organo vulva, con le sue caratteristiche anatomiche e fisiologiche, è fondamentale per una diagnosi precoce che consenta di arginare il processo neuropatico attraverso l’instaurazione di una terapia appropriata sia sotto l’aspetto sintomatologico che eziopatogenico.”